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sul povero corpo mal vestito, mal nutrito e le dure parole del signor Pompeo: «scioperato, buono a nulla, vagabondo»: ella traduceva nella luce del suo cuore, così: «infelice, infelice, infelice».
Era ben vero che i compiti di scuola Flavio li eseguiva malamente o non li eseguiva affatto, impiegando l’ora della traduzione latina a tracciare disegni sopra i quaderni e l’ora di studiare i classici a inseguire via per il cielo il corso delle nuvole nei loro svariati aggruppamenti; ma Anna sapeva pure che egli leggeva molto fuori dei libri di testo e quando infervorata a discorrere delle idee che il padre suo aveva amate — sogni d’arte, entusiasmi di bellezza, ardori di fede — vedeva gli occhi del fanciullo rifulgere giocondamente e fissarsi nei suoi con una intensità di elianto che beve i raggi del sole. Anna si sentiva presa da un rimpianto violento che le faceva esclamare con malinconia: «Perchè non è mio fratello?»