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dalle tenebre senza voce e senza labbra come il riso di uno spettro. E un sogno delineavasi. Ella non aveva riposta la boccetta del veleno sulla mensola, bensì sul tavolino, insieme alle altre; la suora, sbagliandosi, aveva dato il veleno ad Elvira. Una inchiesta era stata aperta e si sapeva che lo sbaglio veniva da lei. — Vero sbaglio?... Vero sbaglio? — le chiedevano. Una visione raccapricciante della Corte d'Assise e dei giudici le sfilò davanti. Il cuore le si schiantava più che mai stritolato dalle invisibili mani; l'oscuro riso, fischiando, gridava: — Avvelenatrice. — E quella parola sorgeva dalle tenebre in caratteri di fuoco, si avanzava lampeggiando, la investiva, la copriva tutta. Ora non era più una parola, era un volto: un terribile volto sconosciuto che somigliava a Elvira.

Mise un grido e balzò a sedere sopra il letto, colle pupille sbarrate, ansimando. Due rivoletti di sudore le scendevano da una parte