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A poco a poco la calma fantastica dell'ambiente avvinse Anna. La voluttà del sogno la prese, aggravata dal torpore del meriggio, in mezzo alla selva che era il suo asilo. Una voce gracile salì dalla strada cantando:

La rosa è il più bel fiore.
Come la gioventù
Nasce, fiorisce e muore
E non ritorna più.

E la voce aveva note gutturali singolarmente dolorose, un po' tremule, che davano alle parole un fascino di passione come se il cantore improvvisasse per sfogare un suo intimo schianto. La vecchissima canzone che Anna non conosceva, pianta più che modulata nel silenzio ardente del meriggio, aveva perduto durante i lunghi anni d'oblio la volgarità che accompagna tutto quanto cade nel dominio del pubblico. Essa rinasceva nella sua freschezza ingenua, nella sua malinconia