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E quasi l’affermazione non le sembrasse sufficiente, gli si accostò più ancora, insinuante, serpentina, soggiungendo parole vuote di senso ma che apparivano grandiose nell’oscurità tiepida e molle del terrazzo, fra quel giovine di vent’anni e quella fanciulla di diciassette.

Un cuore si schiantava intanto. Anna, che era sopraggiunta sul limitare del terrazzo durante la violenta apostrofe di Flavio, tenevasi nascosta nell’ombra delle piante. Dal suo posto non le sfuggì nessuna inflessione della replica di Elvira, anzi, come avviene di una musica che si percepisce meglio a qualche distanza, ebbe campo di notarne le stonature, i passaggi stridenti, l’urto dell’istrumento inetto a rendere i suoni che il virtuoso avrebbe voluto trarne. Ma sentiva pure che mentre a lei, spettatrice, la verità intima delle cose si disvelava, era tra quei due un ondeggiante mistero complice che la riempiva d’ignoto terrore.