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Per quanto fu lunga la primavera, nella verde frescura dell’aprile, nel maggio odoroso, nei primi tepori di giugno, mischiata alle ebbrezze di tutta la natura, Flavio assaporò l’ebbrezza della sua gloria nuova. Gli saliva sopratutto al cervello nelle dolci sere trascorse sul terrazzo, in mezzo ai ricordi dell’infanzia che si allungavano nel passato quali ombre scure destinate a dare maggior risalto a un paesaggio ridente da cui gli giungeva l’eco affievolito de’ suoi pianti di fanciullo, de’ suoi sospiri di adolescente, imprimendo a tutto il suo essere un movimento di ascensione e di conquista. Nell’irradiamento della felicità anche la bellezza gli era venuta; una bellezza delicata di cristallo che il sole indora, dove tutti i colori dell’iride danzano in una aureola di stelle multicolori; fragile bellezza che le sensazioni mutavano d’ora in ora idealizzandola.

Sulla vecchia casa, gli anni, i secoli, si