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in quella che egli considerava ampiamente la sua casa, che racchiudeva tutte le sue memorie, i suoi dolori, le sue lotte, le sue speranze, le sue rare ma profonde gioie.

Nella recente e incompleta e pure viva esperienza del mondo aveva imparato ad apprezzare più ancora la solitudine di quel cantuccio primitivo, rimasto incolume ai fianchi di una grande città, sfuggito per miracolo alla mania innovatrice; vi sentiva un tepore particolare di nido, di seno materno dove è dolce riposare. La meridiana dipinta sul muro del convento aveva una scritta per metà cancellata. Alcune parole si leggevano ancora coll’aiuto di una lente, ma Flavio non ne aveva bisogno: le sapeva a memoria e proprio allora, in quella dolcezza di nido che si rinnovella, gli apparvero fiammeggianti sul muro lontano, quasi aureolate dal vivido sole che vi batteva sopra: Il tempo stringe, facciamo il bene. Fatidiche parole per un giovine