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l'encausto 43


L’abate Requeno sciogliendo al fuoco cera e diverse resine coi colori in polvere, trovò una composizione che, macinata ad acqua, si presta obbediente al pennello come una tempera, e verniciata a cera, si fonde col calore, formando un corpo solo, a detta dell'autore, di una solidità considerevole. Allora contrappose arditamente il suo trovato ai processi presi in considerazione dall’Accademia francese, insieme scrivendo una critica poco lusinghiera per gli inventori premiati a Parigi.

Egli analizza l'articolo « encaustique » del gran Dizionario Enciclopedico, dove vengono compendiate le dissertazioni ed i metodi d’imitare l’antica pittura, presentati dal Conte Caylus da M. Bachellière e Cochin figlio, sui vari encausti dei Greci e dei Romani, in un colle loro interpretazioni del famoso brano di Plinio e i vaghi appoggi di alcuni versi: di Marziale e d’Ovidio, dal cui contesto emergono gli estremi del processo: sciogliere cioè le cere in modo da renderle coi colori maneggiabili al pennello e abbruciare in qualche modo la cera per condurre a termine il lavoro; e si sbarazza subito del Conte Caylus perchè fonda il suo sistema su manipolazioni chimiche ignote agli antichi, ai quali il Requeno nega sino la conoscenza del bagno-maria, degli spiriti di terebinto e di altri oli, forse con precipitato giudizio.

Sulle esperienze di M. Bachellière che in parte corrispondono colle prime ricerche dello stesso abate Requeno, è così tipico, in fatto di ricette pittoriche, il caso toccato all’erudito abate, che vale la pena di riferire le sue stesse parole:

« Leggonsi più piacevolmente i quattro metodi di dipingere all’encausto di M. Bachellière, due dei quali furono rigettati dall'Accademia; ma il terzo premiato ed encomiato col quarto, il quale è una diversa applicazione del terzo.