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l'acquerello ed il pastello 133

Se vi è processo nel quale si debba intendere alla let- tera il consiglio che il pittore Mulready diede a Ruskin: « Sappi quello che devi fare, è il pastello, perchè su questo colore in particolar modo rimane la traccia della ripetizione incerta, del pestato, così disgustoso in genere, ma sommamente dove si possa arguire una spontaneità mancata nell'artista.

Tuttavia l'uso di confricare i colori colle dita o con lo sfumino infesta questo scorrevole mezzo di dipingere, quanto e peggio non lo si pratichi nel disegno a bianco e nero, con duplice danno. Quello anzitutto che il colore smosso dalla disposizione naturale presa nell'adagiarsi sul vellutato del fondo, crolla assai più facilmente dove fu troppa l'insistenza a sovrapporre colori e più forte il pestare; e l'altro, che si è già detto, di togliere la vivacità del tocco al colore per la diversa direzione molecolare risultante dall'uso delle dita e dello sfumino.

Data una superfice di lavoro così conveniente come seppe e sa offrirla l'industria al pastello nelle varie carte e tele preparate, l'aderenza del colore è assai più forte che non si creda a prima vista, per la legge fisica dell'adesione, che il tempo aumenta, tanto più se il criterio del pittore e lo studio preventivo del proprio soggetto cospirino a far sì che sia eliminata ogni quantità inutile di pastello.

La conservazione mirabile dei pastelli di Rosalba Carriera, di Liotard e tanti altri celebri cultori di questo processo di dipingere, fra i quali il Lomazzo annovera il Leonardo, sono a testimoniare che non scompare tanto facilmente il pastello dal suo fondo se qualche secolo trascorso non impedisce di apprezzare integralmente l'opera di quegli artefici e farla parere come uscita oggi dalle loro matite.

Per un intelligente del genere, il fissaggio, qualunque sia il glutine che lo compone, non compensa colla maggiore