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L’osservazione di complesso, per masse di fatti, o gruppi omogenei; la serie numerica; l’osservazione ripetuta e compensata; la ricerca del costante per mezzo dell’eliminazione del variabile; i valori medi, rispondenti ad un certo tipo relativamente normale; la legge collettiva, se anche puramente empirica, non assoluta, la legge statistica insomma, nel senso in cui già si viene adoperando questa parola: - tutto ciò (giova ripeterlo) non è che la formola variamente espressa del metodo statistico, considerato in sè stesso, nel suo uffizio, nella forma generale dei risultati cui esso aspira.
E, torno a dire, vi è più o meno materia di applicazione in servigio delle varie scienze di osservazione, ma sopratutto poi delle sociali. In queste ultime, più che in altre, si ha essenzialmente a fare col gruppo, e le leggi solitamente che vi si possono riconoscere non tengono che per l’insieme. L’individuo, il caso individuale, mostra loro sfuggire, appunto perchè la legge essa medesima è l’espressione molteplice di una risultante, il prodotto di una composizione e compensazione di forze eiementari, tra loro più o meno discrepanti e numerosissime. Così avviene in ispecie delle leggi economiche, in quanto esse risultano dal fatto complessivo della concorrenza, e ne presuppongono la pratica effettuazione. Ond’è altresì che io non saprei ammettere coi Positivisti principalmente inglesi, che la scienza sociale possa per intero dedursi, come un semplice corollario, dalla psicologia individuale.
E aggiungo pure che ne’ trattati, anche più autorevoli, di Logica generale dei metodi, mi sembra esistere una vera lacuna, per quanto riguarda il metodo statistico; poichè non ravviso che questo siavi ancora apprezzato in tutta la sua importanza scientifica, e nè tampoco compreso in tutta la sua estensione, e giusta la sua vera essenza.
Di tal modo pertanto mi pare definita, per via