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che v’abbandonava il suo onore, non valeva per voi quanto una carrozza o quanto i diamanti che adornano il vostro capo.
Margherita. Armando! sì, questa è la sola cagione. Sì, io sono un’infame, una miserabile creatura che non non vi amava, che v’ha ingannato. Ma più io sono infame, di più voi dovete disprezzarmi, e non esporre la vostra vita e la vita di coloro che vi amano. Oh, Armando, ve ne supplico alle vostre ginocchia... lasciate Parigi... partite.
Armando. Io lo farò, ma ad una condizione.
Margherita. E qual’è?
Armando. Che voi siate pronta a seguirmi.
Margherita. Giammai!
Armando. Ascolta, Magherita, io sono pazzo, io ho la febbre, il mio sangue abbrucia, il mio cervello bolle: io mi trovo in una di quelle crisi in cui l’uomo è capace di tutto, e non indietreggia all’idea d’un delitto. Io ho creduto per un momento che l’odio soltanto mi spingesse sulle tue traccie; no, era l’amore, quest’amore invincibile, straziante, accresciuto dai rimorsi, dall’onta e dal disprezzo; ebbene, pronuncia una sola parola di pentimento, accusa del tuo delitto la fatalità, la tua debolezza, ed io lo dimenticherò; che m’importa di Varville? Io l’odio, perchè credo che tu l’ami. Dimmi soltanto che non è vero, e ti perdonerò; noi lasceremo Parigi, anderemo in capo al mondo, se fa bisogno, ma parla, Margherita, rispondi: sei tu decisa a seguirmi?
Margherita. Armando, io darei tutta la mia vita per un solo giorno di quella felicità che mi proponi, ma questa felicità per me è ormai impossibile!