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dove l’avrebbe condotta la sua imprudenza; perchè tutto quello che ha fatto non è ancor nulla, e per saldare gli enormi suoi debiti, è obbligata a vendere tutto quello che possiede. Ho qui un progetto di vendita che mi ha rimesso un procuratore.

Armando. E quanto le abbisogna?

Duvernoy. Trentamila franchi per lo meno.

Armando. Chiedete una proroga di quindici giorni, e fra quindici giorni gli avrò soddisfatti.

Duvernoy. In qual modo?

Armando. Io pure ho preveduto quello che doveva succedere, e perciò scrissi al mio notaio, pregandolo di maneggiare la vendita dei beni che mi spettano dal lato di mia madre. Oggi n’ho ricevuta la risposta; l’atto è già pronto, non mi resta che a compiere qualche formalità; e quest’oggi vado a Parigi per firmarlo; sino al mio ritorno impedite che la vendita sia effettuata.

Duvernoy. Ma le carte che mi furono consegnate dal procuratore...

Armando. Quando sarò partito, voi le rimetterete a Margherita, come se io nulla sapessi, giacchè ella deve ignorare quanto v’ho detto in questo momento.

SCENA SECONDA


Margherita, Gustavo, Erminia e detti.


Margherita. (entrando, si pone un dito sulle labbra, guardando la signora Duvernoy)

Armando. Buona Margherita, tu devi sgridare la signora Duvernoy.