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La Sicilia nella Divina Commedia 15


Pel suo buon reggimento, a lui in particolar modo si possono riferire le parole pronunziate a nome di tutti gli spiriti beati di quel sesto cielo1 dal rostro dell’aquila (ivi, XIX, 13 sgg.):

«  .  .  .  .  .  .  .  Per esser giusto e pio
son io qui esaltato a quella gloria,
che non si lascia vincere a disìo,
ed in terra lasciai la mia memoria
sì fatta, che le genti lì malvage
commendan lei, ma non seguon la storia».

Passato così alla sua morte il regno di Puglia e di Sicilia dalla casa Normanna alla Sveva, dopo Enrico VI (1189-1197) ne diveniva erede il figlio Federico col titolo di primo (secondo, quale imperatore 1197-1250). Per Dante (Par. III, 118 sgg.), come Enrico è il secondo vento di Suave, così egli è il terzo e l’ultima possanza generata da Costanza2. A tutti son note le lodi di questo principe poste in bocca a Pier della Vigna (Inf. XIII, 59-75), e con esse si accorda ciò che nelle altre sue opere scrisse di lui come re e come letterato l’Alighieri stesso3. Pur non di meno lo collocò tra gli eretici nel numero degli Epicurei entro le arche infuocate della città di Dite (Inf. X, 119), memore forse della maledizione lanciata sopra lui e la sua



    pianto conservato da Riccardo da S. Germano (Pertz, Monum. germ., Script. XIX, 324); un bell’elogio di questo principe saggio ha lasciato l’Ottimo (cfr. Poletto, Diz. dantesco, alla voce Guglielmo re di Sicilia), e gli storici in ciò si accordano; vedi F. Testa, De vita et rebus gestis Guilelmi II Siciliæ regis, Monreale, 1769, La Lumia, Storia della Sicilia sotto Guglielmo II il buono, Firenze, 1867 e G. B. de Lagréze, Les Normands dans les deux mondes, Paris, 1890, chap. XI.

  1. Il Vigo (Op. cit., in Riv. sicula, vol. II, p. 500) con poca precisione le pone in bocca addirittura a Guglielmo.
  2. Mi accosto al Blanc, che trova acconciamente paragonati i principi di casa Sveva ad un vento impetuoso a motivo della loro potenza impetuosa e passeggiera (cfr. la chiosa di Pietro di Dante a questo luogo); ultima possanza poi perchè si elevò sopra tutti i suoi successori, e Ridolfo, e Adolfo, e Alberto, (cfr. Conv. IV, 3).
  3. Lo chiamò chierico grande, buon logico e dotto (Conv. IV, 10); lo lodò come principe umano e di nobili spiriti, protettore dei buoni studî e della nascente lingua volgare (Vulg. el. I, 12); cfr. Ricordano Malespini, cap. CVII e Novellino, XXI.