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TERZO | 39 |
XV.
Settecento soldati ei conducea
Dalle terre del padre e de’ parenti.
Nello stendardo un Mongibello avea,
116Che vomitava al ciel faville ardenti.
L’onor della famiglia di Rodea,
Attolino, il seguia colle sue genti,
A cui l’imperator de’ regni greci
120Cinta la spada avea con altri dieci.
XVI.
Da Rodea, da Magreda e Castelvecchio
Conduceva costui trecento fanti
Con sì leggiadro e nobile apparecchio,
124Che parean tutti cavalieri erranti.
Sul cimier per impresa avea uno specchio
Cinto di piume ignote e stravaganti.
E dopo lui, fu vista una bandiera
128Sugli argini venir della riviera.
XVII.
Le ville della Motta e del Cavezzo,
Camposanto, Solara e Malcantone
Quivi raccolto avean la feccia e ’l lezzo
132D’ogni omicida rio, d’ogni ladrone.
Quel clima par da fiera stella avvezzo
A morire o di forca o di prigione.
Fur cinquecento, usati al caldo, al gielo,
136All’inculta foresta, al nudo cielo.
XVIII.
Da Cammillo del Forno eran guidati,
Uom temerario e sprezzator di morte.
Di semplice vermiglio avea segnati
140Il suo stendardo e l’armatura forte:
Non portava cimier nè fregi aurati,
Nè divisa o color d’alcuna sorte,
Fuorchè vermiglio; e sovra la sua gente
144Con nera e folta barba era eminente.