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32 | CANTO |
LV.
Dove credete star? giuro a Macone,
Ch’io vi gastigherò di tanto ardire.
Venga il fulmine tosto: e l’Aquilone
440Il fulmine arrecogli in questo dire.
Vulcan tratto a’ suoi piedi in ginocchione,
Chiedea mercede e intiepidiva l’ire,
Lagrimando i suoi casi e l’empia sorte,
444Ma più l’infedeltà della consorte.
LVI.
Citerea che si vide a mal partito,
Per una porticella di nascosto
Dallo sdegno del padre e del marito,
448Mentre questi piagnea, s’involò tosto:
E dietro a lei, senza aspettar invito,
Corsero il Dio dell’armi, e ’l Dio del mosto.
Ella in terra con lor prese la via,
452E in mezzo a lor dormì sull’osteria.
LVII.
Gli abbracciamenti, i baci, e i colpi lieti
Tace la casta Musa e vergognosa:
Dalla congiunzíon di que’ pianeti
456Ritorce il plettro, e di cantar non osa.
Mormora sol fra se detti segreti:
Ch’al fuggir della notte umida ombrosa
Fatto avean Marte e ’l giovane tebano
460Trenta volte cornuto il dio Vulcano.
LVIII.
L’oste di Castelfranco un gran pollaio
Con uova fresche avea, quanto la rena.
Ne bebbero i due amanti un centinaio;
464Che smidollata si sentian la schiena:
Ma la Diva ne volle solo un paio;
Che d’altro forse avea la pancia piena.
La Diva, per non dar di se sospetto,
468Presa la forma avea d’un giovinetto.