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SECONDO 29


XLIII.


Girò lo sguardo intorno, onde sereno
     Si fe’ l’aer e ’l ciel, tacquero i venti;
     E la terra si scosse e l’ampio seno
     344Dell’oceáno a’ suoi divini accenti.
     Ei cominciò dal dì che fu ripieno
     Di topi il mondo e di ranocchi spenti;
     E narrò le battaglie ad una ad una,
     348Che ne’ campi seguir poi della Luna.

XLIV.


Or, dice, una maggior se n’apparecchia
     Tra quei del Sipa, e la città del Potta.
     Sapete ch’è tra lor ruggine vecchia,
     352E che più volte s’han la testa rotta.
     Ma nuova gara or sopra d’una Secchia
     Han messa in campo; e se non è interrotta,
     L’Italia e ’l mondo sottosopra veggio.
     356Intorno a ciò vostro consiglio chieggio.

XLV.


Qui tacque Giove, e ’l guardo a un tempo affisse
     Nel Padre suo che gli sedea secondo.
     Sorrise il Vecchio, e tirò un peto, e disse:
     360Potta! i’ credea che ruinasse il mondo.
     Che importa a noi se guerra, liti e risse
     Turban laggiù quel miserabil fondo?
     E se gli uomini son lieti o turbati?
     364Io gli vorrei veder tutt’ impiccati.

XLVI.


Marte a quella risposta alzando il ciglio:
     O buon Vecchio, gridò, son teco anch’io.
     Che importa a questo eterno alto consiglio,
     368Se stato è colaggiù turbato e rio?
     Chi è nato a perigliar, viva in periglio:
     Viva e goda nel ciel chi è nato Dio.
     Io, se la Diva mia nol mi disdice,
     372L’una e l’altra città farò infelice.