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SECONDO | 27 |
XXXV.
Non comparve la vergine Díana;
Che levata per tempo, era ita al bosco
A lavare il bucato a una fontana
280Nelle maremme del paese tosco;
E non tornò, che già la tramontana
Girava il carro suo per l’aer fosco.
Venne sua Madre a far la scusa in fretta,
284Lavorando sui ferri una calzetta.
XXXVI.8
Non intervenne men Giunon Lucina;
Che il capo allora si volea lavare.
Menippo sovrastante alla cucina
288Di Giove, andò le Parche ad iscusare,
Che facevano il pan quella mattina,
Indi avean molta stoppa da filare.
Sileno cantinier restò di fuori,
292Per innacquar il vin de’ servidori.
XXXVII.
Della reggia del ciel s’apron le porte;
Stridon le spranghe e i chiavistelli d’oro:
Passan gli Dei dalla superba corte
296Nella sala real del concistoro.
Quivi sottratte ai fulmini di Morte,
Splendon le ricche mura e i fregi loro:
Vi perde il vanto suo qual più lucente
300E più pregiata gemma ha l’Oríente.
XXXVIII.
Posti a seder ne’ bei stellati palchi
I sommi Eroi de’ fortunati regni,
Ecco i tamburi a un tempo e gli oricalchi
304Dell’apparir del Re diedero segni.
Cento fra paggi e camerieri e scalchi
Venieno, e poscia i proceri più degni;
E dopo questi Alcide colla mazza,
308Capitan della guardia della piazza: