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26 CANTO


XXXI.


Pallade sdegnosetta e fiera in volto,
     Venía su una chinéa6 di Bisignano;
     Succinta a mezza gamba, in un raccolto
     248Abito mezzo greco e mezzo ispano:
     Parte il crine annodato e parte sciolto
     Portava, e ne la treccia a destra mano
     Un mazzo d’áironi7 alla bizzarra,
     252E legata all’arcion la scimitarra.

XXXII.


Con due cocchi venía la Dea d’Amore:
     Nel primo er’ ella e le tre Grazie e ’l Figlio,
     Tutto porpora ed or dentro e di fuore,
     256E i paggi di color bianco e vermiglio:
     Nel secondo sedean con grand’onore
     Cortigiani da cappa e da consiglio,
     Il braccier della Dea, l’aio del Putto,
     260Ed il cuoco maggior mastro Presciutto.

XXXIII.


Saturno, ch’era vecchio e accatarrato,
     E s’avea messo dianzi un serviziale,
     Venía in una lettiga riserrato,
     264Che sotto la seggetta avea il pitale.
     Marte sopra un cavallo era montato,
     Che facea salti fuor del naturale:
     Le calze a tagli, e ’l corsaletto indosso,
     268E nel cappello avea un pennacchio rosso.

XXXIV.


Ma la Dea delle biade, e ’l Dio del vino
     Venner congiunti e ragionando insieme.
     Nettun si fe’ portar da quel Delfino
     272Che fra l’onde del ciel notar non teme:
     Nudo, algoso e fangoso era il meschino;
     Di che la Madre ne sospira e geme,
     Ed accusa il Fratel di poco amore,
     276Che lo tratti cosí da pescatore.