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20 | CANTO |
VII.
Qui chiuse il Bolognino il suo sermone;
E rise ognun quanto potea più forte.
Era capo di banca un Rarabone
60Dal Tasso, arcidottor cavato a sorte.
Per soprannome gli dicean Tassone,
Perch’era grosso e avea le gambe corte.
Questi, poichè ’l Senato in lui s’affisse,
64Compose il volto, e si rivolse, e disse:
VIII.
Che ’l vostro reggimento abbia mandato
Due personaggi suoi sì principali
A scusarsi con noi de’ danni dati,
68E a condolersi de’ passati mali;
Nostra ventura è certo, e registrati
Ne fieno i nomi lor ne’ nostri annali.
A noi ancora in ver molto dispiace
72De’ vostri morti che Dio gli abbia in pace:
IX.
E se per sotterrargli or qui venite,
La vostra ambascieria fia consolata.
Ma quella pace che voi ci offerite
76Col patto della Secchia, è un po’ intricata;
E conviene aggiustar pria le partite
Con cui voi dite che ve l’han rubata;
Perchè di secchie non abbiam bisogno,
80E ci crediam che favelliate in sogno.
X.
Manfredi ch’era a quel parlar presente,
Cavatosi il cappuccio, e in piè levato:
Figlio è, disse, d’un becco, e se ne mente
84Chi vuol dir ch’io la Secchia abbia rubato.
Di mezzo la città nel dì lucente
Io la trassi per forza in sella armato:
E tornerò, se me ne vien talento,
88Dov’è quel pozzo, e cacherovvi drento.