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248 | CANTO PRIMO |
LXVIII.
Ma poi che il Sol nell’Ocean s’immerse
E fu la luce sua del tutto estinta,
Ombra caliginosa ne coperse
540Di spaventose immagini dipinta;
Nè mai sì fiera illusion s’offerse
All’agitato Oreste e d’orror cinta,
Che s’agguagliasse a quella, onde la notte
544Ne furo il sonno e le speranze rotte.
LXIX.
Di rauche trombe e di tamburi il suono
L’orecchie ad or ad or ne percotea:
Or tremava la terra, or s’udia il tuono
548De’ lampi, or del furor della marea,
Parean fuggir le fere in abbandono,
E ’n vece delle ninfe a noi parea
Ch’uscissero giganti e mostri ascosi,
552Orribili, tremendi e spaventosi.
LXX.
Nè le sembianze lor del lutto vane
Erano ai sensi oppressi e conturbati;
Ma d’urti fieri e di percosse strane
556Sentimmo i colpi da diversi lati;
E le piagge vicine e le lontane
Mugghiar d’urli feroci e di latrati:
Così senz’aver mai riposo un’ora
560Fummo agitati in fin ch’uscì l’Aurora.
LXXI.
Quando alfin l’alba in Orìente apparve,
E le sue stelle in ciel la notte ascose,
S’ascosero e fuggir tutte le larve
564E le finte bellezze insidìose;
Frutti, fior, fronde, ogni delizia sparve,
Gli ameni prati e le selvette ombrose,
E l’Isola restar vedemmo piena
568D’orridi sassi e d’infeconda arena.