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238 | CANTO PRIMO |
XXVIII.
Parve Cintia costei, che a vendicarse
Del temerario ardir fosse restata:
Folgoraron le chiome all’aura sparse,
220E la faretra d’oro, ond’era armata,
E ’n succinto vestir leggiadra apparse
Bianca la gonna, e ’l vago piè calzata
D’aurei coturni, e nella faccia bella
224Qual tremolante e mattutina stella.
XXIX.
E volgendo alle navi i lumi irati,
E chi, gridò, cotanto ardir vi diede?
Uomini vili alle miserie nati,
228Tenete fuor di questa riva il piede.
Qui solo hanno gli Eroi fai beati,
E le Ninfe immortali albergo e sede;
E ’n questo dir scoccando il terzo strale,
232Ratta si rinselvò com’ avesse ale.
XXX.
Poi che sparita fu la bella arciera,
Stette sospeso il Capitano un poco,
Se doveva smontar sulla riviera,
236O procacciarsi porto in altro loco.
Stimando alfin che della donna altiera
Fossero i gesti e le parole un gioco,
Per ristaurar le navi in terra scese
240Co’ suoi compagni, e un padiglion vi tese.
XXXI.
Quivi rifece antenne, arbori e sarte,
E rivide le poppe e le carene;
Ma de’ compagni suoi la maggior parte
244Cercando andar per quelle piagge amene,
E trovar le vallette in ogni parte
Di cannemele e zuccari ripiene,
E di starne e fagiani e daini e lepri,
248Che scherzavan fra i mirti e fra i ginepri.