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DELL' OCEANO | 237 |
XXIV.
Così parlava, e di lontan vedea
Molt’ Isole nel mar fra se distinte.
Onde le prore a quel sentier volgea,
188Dove parean dal vento esser sospinte:
Eran l’Isole queste ove credea
L’antica età, che delle genti estinte
Volassero a goder l’alme beate,
192E le chiamò felici e fortunate.
XXV.
Porto in una di lor sicuro stassi,
Ch’entra nel lido e forma un ampio cinto;
E fuor, là dove ad imboccarlo vassi,
196Stretto è di foce e d’alti scogli è cinto:
Nella tempesta il mar da’ cavi sassi
Spumeggiando ritorna indietro spinto;
Ma non può l’ira mai del vento audace
200La cheta onda turbar, che dentro giace.
XXVI.
Quivi il Colombo entrò con le sue navi,
E stanza vi trovò dolce ed amena,
Praticelli, boschetti, aure soavi,
204Fonti, rivi, e d’amor la terra piena;
Fiorite l’erbe e gli arboscelli gravi
Di frutti, e intorno una continua scena;
E tra le frondi augelli e per le valli,
208Persi, verdi, vermigli, azzurri e gialli.
XXVII.
Ma non s’offerse cosa a riguardanti
Più gradita da lor, nè più gioconda,
Ch’ un vezzoso drappel di Ninfe erranti,
212Che gían danzando infra le piagge e l’onda:
Come alzaron la vista ai naviganti,
S’imboscar tutte alla più chiusa fronda;
Solo ritenne il piede una di loro,
216E dall’arco avventò due strali d’oro.