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216 CANTO


XLIII.


Or vi farò veder quello ch’importe
     Il disprezzar l’autorità papale.
     Così disse; e non pur fuor delle porte
     348Che chiudean le superbe e ricche sale,
     Ma di Bologna uscì colla sua corte;
     E volgendo il cammin verso il Finale,
     Il Paulucci avvisò ch’immantenente
     352Il seguisse al Bonden colla sua gente,

XLIV.


Dove dovea trovarsi il giorno appresso
     Azzio d’Este, figliuol d’Aldobrandino,
     E quivi esser da lui poscia rimesso
     356Nel ferrarese antico suo domino,
     Come gli avea ordinato il Papa stesso
     Con un breve dappoi ch’ei fu in cammino.
     E a un tempo fur da lui tutti chiamati
     360I cavalli ch’addietro avea lasciati.

XLV.


Salinguerra ch’intese il suo periglio,
     Tosto del ponte abbandonò l’impresa;
     E tornando a Ferrara, in iscompiglio
     364Ritrovò la città già mezza presa.
     Ma risoluti a non mutar consiglio,
     S’ostinaron via più nella contesa
     I Petroni; e stimar cosa leggiera
     368L’aver perduta e l’una e l’altra schiera.

XLVI.


Dall’altra parte i Gemignani volti
     Al lor vantaggio, avean con segretezza
     Danari a cambio dai Lucchesi tolti,
     372E assoldata milizia all’armi avvezza;
     E avendo i Padovani in campo accolti
     Senza segno di tromba e d’allegrezza,
     Si mostravan d’ardir, di forze impari,
     376Per crescer confidenza ai temerari: