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198 CANTO


XXXV.


Armato il cavalier di tutto punto,
     E compartito il solo ai combattenti,
     Diede il segno la tromba, e tutto a un punto
     284Si mossero i destrier come due venti.
     Fu il cavalier roman nel petto giunto:
     Ma l’armi sue temprate e rilucenti
     Ressero; e ’l Conte a quell’incontro strano
     288La lancia si lasciò correr per mano.

XXXVI.


Ei fu colto da Titta alla gorgiera,
     Tra il confin dello scudo e dell’elmetto,
     D’una percossa sì possente e fiera,
     292Che gli fece inarcar la fronte e ’l petto.
     Si schiodò la goletta, e la visiera
     S’aperse, e diede lampi il corsaletto.
     Volaro i tronchi al ciel dell’asta rotta,
     296E perdè staffe e briglia il Conte allotta.

XXXVII.


Caduta la visiera, il Conte mira,
     E vede rosseggiar la sopravvesta;
     E, Oimè! son morto, grida, e ’l guardo gira
     300Agli scudieri suoi con faccia mesta.
     Aita, che già ’l cor l’anima spira
     (Replica in voce fioca) aita presta.
     Accorrono a quel suon cento persone,
     304E mezzo morto il cavano d’arcione.

XXXVIII.


Il portano alla tenda, e sopra un letto
     Gli cominciano l’armi e i panni a sciorre.
     Il chirurgo cavar gli fa l’elmetto
     308E il prete a confessarlo in fretta corre.
     Tutti gli amici suoi morto in effetto
     Il tengono; e ciascun parla e discorre
     Che non era da porre a tal cimento
     312Un uom privo di forza e d’ardimento.