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8 | CANTO |
XXVII.
Bertolotto ammazzò faceto e grasso,
Ch’un tempo a Roma fu procuratore:
All’osteria del Lino era ito a spasso,
220E ’l diavolo il condusse a quel romore.
Uccise appresso a lui mastro Galasso,
Cavadenti perfetto e ciurmatore:
Vendea ballotte e polvere e braghieri:
224Meglio per lui non barattar mestieri.
XXVIII.
Senza naso lasciò Cesar Viano,
Fratel del Podestà di Medicina;
E d’un dardo cader fe’, di lontano
228Trafitto, un figlio del dottor Guaina.
Indi ammazzò il Barbier di Crespellano,
Che portava la spada alla mancina;
E mastro Costantin dalle Magliette,
232Che faceva le grucce alle civette.
XXIX.
Un certo bell’umor de’ Zambeccari
Gli diede una sassata ne la pancia;
E a un tempo Gian Petronio Scadinari
236Gli forò la braghetta colla lancia:
La buona spada gli mandò del pari,
Come se fosse stata una bilancia;
Ch’ all’uno e l’altro tagliò il capo netto,
240E i tronchi nella rena ebber ricetto.
XXX.
Qual già sul Xanto il furibondo Achille
Fe’ del sangue troian crescer quell’onda,
O Ippomedonte alle tebane ville
244Fe’ dell’Asopo insanguinar la sponda;
Tal il giovane fier l’onde tranquille
Fa rosseggiar del sangue ostil che gronda:
Ma dalla tanta copia infastidita
248Diede la Musa a pochi nomi vita.