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192 | CANTO |
XI.
Questi che nella scherma avea grand’ arte,
Subito gl’insegnò colpi maestri
Da ferire il nemico in ogni parte,
92E modi da parar securi e destri:
Indi rivide l’armi a parte a parte
Del cavaliero, e i guernimenti equestri.
Ma un petto senza cor, che l’aria teme,
96Non l’armerian cento arsenali insieme.
XII.
La notte alla battaglia precedente,
Che fra i due cavalier seguir dovea,
Volgendo il Conte l’affannata mente
100Al periglio mortal ch’egli correa,
Ricominciò a pensar, tutto dolente,
Di nol voler tentar s’egli potea:
E innanzi l’alba i suoi chiamò fremendo,
104Un gran dolor di ventre aver fingendo.
XIII.
Il padrin che dormia poco lontano,
Tutto confuso si destò a quell’atto.
Con panni caldi e una lucerna in mano
108Bertoccio suo scudier v’accorse ratto:
E ’l barbier della villa, e ’l sagrestano
Di sant’Ambrogio v’arrivaro a un tratto.
E ’l provido barbier ch’intese il male,
112Gli fe’ subitamente un serviziale.
XIV.
Ed egli, per non dar di se sospetto,
Cheto sel prese, e si mostrò contento.
Ma fingendo che poi non fesse effetto,
116Nè prendesse il dolore alloggiamento;
Chiamò gli amici e i servidori al letto,
E disse che volea far testamento:
Onde mandò per Mortalin notaio,
120Che venne con la carta e ’l calamaio.