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188 CANTO


LXXI.


Il Conte la saluta in Candìotto,
     Ed ella gli risponde in Calabrese.
     Bella Mora ei dicea, deh fate motto
     572Al signor vostro, e siategli cortese.
     Ella volgendo a Titta un guardo ghiotto,
     Sporge la bocca; ed ei con voglie accese
     Que’ baci incontra, e da’ bei labbri sugge
     576L’alma di lei, che sospirando fugge.

LXXII.


Teneva il Conte, immoto e stupefatto,
     Agli amorosi baci i lumi intenti;
     E gli parea che Titta fosse matto
     580A sentir per colei pene e tormenti.
     Durava quella beffa lungo tratto;
     Se non che della giovane i parenti
     Seppero il tutto, e fer saperlo al Potta;
     584E subito la tresca fu interotta.

LXXIII.


Il Potta fe’ condur segretamente
     La donna fuor del campo: e perchè Titta
     Percosse in quella mena un insolente
     588Birro, e gli fu grave querela scritta;
     Fe’ pigliarlo anche lui subitamente,
     E in carcere condur per la via dritta
     Alla città, per metterlo in palazzo;
     592Quand’egli cominciò fiero schiamazzo,

LXXIV.


Ch’era pariente de gliu Papa, e ch’era
     Baron romano, e gir bolea en castello.
     Ma il buon fiscal Sudenti e ’l Barbanera
     596Giudice criminale, e Andrea bargello
     Gli mostrar con destrissima maniera,
     Che l’albergo in palazzo era più bello,
     E che l’avrian parato e ben fornito;
     600Onde alla fin d’andar prese partito.