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DECIMO | 185 |
LIX.
A cui fatto saper con lieto avviso,
Che l’attendea del Conte un paggio in sella
Per cosa di suo gusto, all’improvviso
476L’avea fatto venir dove stav’ ella.
Com’egli alzò le luci al vago viso,
Tosto conobbe la sua donna bella:
Onde s’avventa, e dell’arcion la prende,
480E la si porta in braccio alle sue tende;
LX.
E baciandola in bocca avidamente,
Or la strigne, or la morde, or la rimira:
Ed ella in lui, fra cupida e dolente,
484Le belle luci sue languida gira.
Parve l’atto ad alcun poco decente;
Che l’ebbero per maschio a prima mira:
Nè distinguendo ben dal pesco il fico,
488Dicevano di lui quel ch’io non dico.
LXI.
Stette tutto quel giorno il Conte in letto,
Tutta la notte, e la seguente ancora,
Sempre con gran timor, sempre in sospetto
492Di doversi morire ad ora ad ora:
Ond’ebbero gli amanti agio a diletto
Di star anch’essi e l’una e l’altra aurora
Giunti, a goder delle sciocchezze sue,
496Discorrendo fra lor com’ella fue.
LXII.
Già Titta dal Sigonio intesa avea
La beffa del veleno; e l’avea detta
Alla Donna gentil che ne ridea,
500E godeva fra se della vendetta,
Disegnando di star, s’ella potea,
Col nuovo amante, e non mutar più detta,
Poichè questa le par tanto sicura,
504Che sarebbe pazzia cangiar ventura.