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180 | CANTO |
XXXIX.
Ma il Conte di Culagna avendo intanto
Vista Renoppia uscir del padiglione;
Rassettato il collar, la barba e ’l manto,
316E tiratosi in fronte un pennacchione,
L’era gita a incontrar da un altro canto,
Salutandola quasi in ginocchione.
Ond’ella instrutta di sue degne imprese,
320L’avea chiamato a se tutta cortese:
XL.
E avendo il suo valor molto esaltato,
La dispostezza, e ’l fior dell’intelletto,
Giurato avea di non aver trovato
324Chi più paresse a lei degno suggetto
Dell’amor suo, quand’ei non fosse stato
In nodo marital congiunto e stretto.
Onde il burlar della Donzella avia
328Posto il meschino in strana frenesia.
XLI.
Trovollo Titta in un solingo piano,
Ch’ei passeggiava all’ombra d’una noce,
E gía fra se colla corona in mano
332Parlando, a passo or lento, ora veloce.
Come egli vide il cavalier romano,
Gli si fece all’orecchia, e a mezza voce:
Frate, gli disse, per uscir di doglie,
336Io son forzato avvelenar mia moglie.
XLII.
A me certo ne spiace in infinito;
Ma così porta la crudel mia stella.
Quindi gli narra quanto era seguito,
340E quel che detto gli ha Renoppia bella.
Mostra di rimaner Titta stupito,
E lo chiama felice in sua favella:
Conte, tu se’ nu papa, e t’ajo detto
344Che no’ ce che te pozza stare a petto.