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6 | CANTO |
XIX.
Quel dì che Barbarossa arse Milano,
Mio nonno guadagnò quest’armi in guerra.
Gherardo mio fratel le chiudea invano;
156Che le porte gittate abbiam per terra:
E s’al cor non vien meno oggi la mano,
Se ’l nemico s’appressa a questa terra,
Speriam che col suo sangue e la sua morte
160Ei proverà se sian di tempra forte.
XX.
Accese i cor di generoso sdegno
Il magnanimo ardir della donzella;
Onde con l’armi fuor senza ritegno
164Correa la gioventù feroce e bella
Con maestoso modo e di se degno
Il Potta la raffrena e la rappella:
Dove andate, canaglia berrettina,
168Senza ordinanza e senza disciplina?
XXI.
Credete forse che colà v’aspetti
Trebbiano in fresco, o torta in sul tagliere?
Adattatevi in fila, uomini inetti,
172Nati a mangiar l’altrui fatiche e bere.
Così frenando i temerari affetti,
Distingueva in un tratto ordini e schiere.
Gherardo intanto in opportuno punto
176Era correndo a la Fossalta giunto:
XXII.
Che Bordocchio Balzan ch’avea condotto
La prima squadra, allor quivi arrivato,
S’era con molto ardir già spinto sotto
180Alla torre onde il passo era guardato.
Quei della torre aveano il ponte rotto
Da un canto, e ’l varco stretto indi serrato;
E ’l difendean da merli e da finestre
184Con dardi, mazzafrusti, archi e balestre.