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174 CANTO


XV.


Già la foce del Tebro era non lunge;
     Quando si risvegliò Libecchio altiero,
     Che ’n Libia regna, e dove al lido giunge,
     124Travalca sopra il mar, superbo e fiero.
     Vede l’argentea vela; e come il punge
     Un temerario suo vano pensiero,
     Vola a saper che porti il vago legno,
     128E intende ch’è la Dea del terzo regno:

XVI.


Onde orgoglioso e come invidia il muove,
     A Zeffiro si volge, e grida: O resta,
     O io ti caccerò nel centro, dove
     132Non ardirai mai più d’alzar la testa.
     A te la Figlia del superno Giove
     Non tocca di condur: mia cura è questa.
     Va’ tu a condur le rondini al passaggio,
     136E a fare innamorar gli asini il maggio.

XVII.


Zeffiro ch’assalito all’improvviso
     Dall’emulo maggior quivi si mira,
     Ne manda in fretta al suo fratello avviso,
     140Che sull’Alpi dormiva, e ’l piè ritira.
     Corre Aquilon tutto turbato in viso,
     Ch’ode l’insulto, e freme di tant’ira,
     Che fa i tetti cader, gli arbori svelle,
     144E la rena del mar caccia alle stelle.

XVIII.


Libecchio che venir muggiando insieme
     I due fratelli di lontano vede,
     Si prepara all’assalto; e già non teme
     148Del nemico furor, nè il campo cede.
     Tutte raguna le sue forze estreme;
     E dal lido affrican sciogliendo il piede,
     Chiama in aiuto anch’ei di sua follia
     152Siroccos3 regnator della Soria.