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NONO 169


LXXIX.


Fu l’incanto ch’ei fe’ con tal riguardo,
     Che non potea cader Melindo a terra,
     Se non venía un guerrier tanto codardo,
     636Che non trovasse paragone in terra:
     E quanto più l’incontro era gagliardo,
     Tanto meglio il fanciul vincea la guerra;
     Come il ferir del fulmine, che spezza
     640Con più furor dov’è maggior durezza.

LXXX.


L’aste, il cavallo, e l’armi onde guernito
     Era il fanciul, tutte incantate avea;
     E chi traea la spada, era spedito,
     644Che dell’isola a forza uscir dovea.
     Il cambiar lancia era miglior partito:
     Ma non per questo il cavalier vincea
     Se non era di forza e di valore
     648Più d’ogni altro a Melindo inferìore.

LXXXI.


Qui tacque il nano; e ’n giubbilo fu volto
     Degli abbattuti il malconcetto sdegno.
     Ma il Conte di Culagna increspò il volto;
     652E ritirando il passo, e d’ira pregno,
     Trasse la spada, e a quel piccin rivolto,
     Che di timore alcun non facea segno:
     Tu menti disse, menzogner villano,
     656E te lo manterrò con questa in mano.

LXXXII.


Tu vorresti macchiar la mia vittoria;
     Ma non la macchierai, brutto scrignuto,
     Che già nota pertutto è la mia gloria,
     660Nè scusa ha il tuo signor vinto e abbattuto.
     Non volle il nano entrar seco in istoria;
     Ma fatto a que’ signori umil saluto,
     Al Conte che seguiva il suo costume,
     664Rispose, Buona notte; e spense il lume.