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LXIII.
Serva son io, rispose la donzella,
E troppo per me fora alta mercede:
Possiede il mio signor terre e castella,
508Nè inchinerebbe alla mia sorte il piede.
Renoppia allora, astuta come bella:
Se questo è, soggiugnea, fategli fede
Ch’io mi chiamo ubbligata a quel valore
512Che mostra colla lancia in farmi onore.
LXIV.
E sebben forse avrei più caro avuto
Ch’in soccorso de’ nostri a vero marte
Coll’armi, per mio amor, fosse venuto
516Senza apparecchio alcun di magic’ arte;
Pur l’affetto gradisco, e lo saluto;
E questa gli darete da mia parte.
E di seno, a quel dir, senza intervallo
520Si trasse una crocetta di cristallo,
LXV.
Dov’era un dente di san Gemignano,
E papa Onorio l’avea benedetta;
E finse porla alla donzella in mano,
524Che la desse al Guerrier dell’isoletta:
Ma quella sparve come un sogno vano,
Al subito toccar della crocetta;
E sparvero con lei paggi e scudieri,
528E rimasero sol gli scudi veri.
LXVI.
Lesse i nomi Renoppia; e quelli rese,
Ch’esser trovò de’ cavalieri amici;
Gli altri di ritener consiglio prese
532Come spoglie e trofei de’ suoi nemici.
Intanto il giostrator seguia sue imprese
Con gli usati successi ognor felici;
Quand’un guerriero ignoto in veste gialla
536Al ponte capitò su una cavalla.