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162 CANTO


LI.


Di terra si levò tutto arrabbiato;
     Trasse la spada, e sbudellò il destriero,
     Come fosse il meschin del suo peccato,
     412Della caduta sua l’autor primiero.
     Indi al guerrier dell’isola voltato:
     Ti sarà, disse, d’aspettar mestiero,
     Ch’uno scudo i’ ti dia d’altro lavoro;
     416Che questo i’ nol darei per un tesoro.
                                  

LII.


Sorrise il giostratore, e disse: Questo
     Teco giostrando ho vinto, e questo voglio.
     Il mio val più del tuo, nè saría onesto
     420Che ti volessi anch’io cambiare il foglio.
     Rispose il Romanesco: I’ ti protesto
     Che lo difenderò siccome i’ soglio.
     E tratto il brando, al solito costume
     424Si scosse il suol, ma non si spense il lume:

LIII.


E un asinello uscì, che due stivali
     Per orecchie, e una trippa avea per coda:
     Coll’orecchie feria colpi mortali;
     428E la coda inzuppata era di broda.
     Terribil voce avea, calci mortali;
     La pelle, d’un diamante era più soda:
     E semprechè ferir potea dappresso,
     432Balestrava col cul pallotte allesso.

LIV.


Parean polpette cotte nell’inchiostro,
     E appestavano un miglio di lontano.
     Titta di Cola s’affrontò col mostro,
     436Che tal nomossi il cavalier romano;
     E gli fu d’altro che di perle e d’ostro
     Ricamato il vestito a piena mano.
     Egli del brando a quella bestia mena,
     440Ma segna il pelo, ove lo coglie, appena.