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NONO | 157 |
XXXI.
Ma perchè non m’imputi a codardía
Il rifiutar la prova della spada,
Lasciami terminar l’impresa mia,
252Poi ti risponderò come t’aggrada,
Lo scudo, se ’l mi chiedi in cortesia,
Io lo ti lascerò: per altra strada
Non ti pensar di ritenerlo, o ch’io
256A tuo voler sia per cangiar desio.
XXXII.
Il cangerai (soggiunse) al tuo dispetto
L’altro guerrier, malvaggio incantatore.
E del tronco dell’asta in sull’elmetto
260Ferillo, e trasse a un tempo il brando fuore.
Tremò l’isola al colpo e tremò il letto
Del fiume, e sparve tosto ogni splendore:
Balenò il cielo, e con orrendo scoppio
264S’aprì la terra, e n’uscì un fumo doppio.
XXXIII.
Sfavillò il fumo; ed ecco immantinente
Due tori uscir d’insolita figura,
Che con occhi di foco, e fiato ardente,
268Parean seccare i fiori e la verdura.
S’uniro i due guerrier, tratte repente
Le spade, e non mostrar di ciò paura.
Vengono i tori; e l’uno e l’altro campo
272Trema degli occhi al formidabil lampo.
XXXIV.
Il Cavalier dell’isoletta s’era
Tratto in disparte a rimirar la guerra.
Come saetta l’una e l’altra fera
276Col biforcuto piè trita la terra.
S’apre all’arrivo lor la coppia altera:
Passa il corno incantato, e non gli afferra:
Menano entrambi; e ’l taglio della spada
280Par che su lana o molle piuma cada.