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NONO 155


XXIII.


Onde a fatica ei si salvò notando.
     Restò lo scudo, e ’n lui si lesse: Irneo.
     Allor di nuovo l’isola tremando
     188S’aperse, e ’l gran gigante in se chiudeo;
     E ’l chiaro lume ch’era gito in bando,
     Tornò alle torce spente, e l’accendeo.
     Tacque il tremito e ’l vento; e nuova giostra
     192Chiamando il cavalier, fe’ di se mostra.

XXIV.


Il terzo giostrator fu Valentino
     Che passeggiando venne un destrier sauro;4
     E ’l quarto il valoroso Giacopino
     196Sopra un ginnetto altier del lito mauro,
     Ch’avea ferrato il piè d’argento fino,
     E sella e fren di perle ornati e d’auro:
     Ma l’uno e l’altro uscì dell’isoletta
     200Senza lo scudo, e dileguossi in fretta.

XXV.5


Il quinto fu il signor di Livizzano;
     Ch’innamorato di Celinda altera,
     E per lei colto in fronte e messo al piano,
     204Ebbe a perir della percossa fiera.
     L’asta rotta si fesse, e ’l colpo strano
     Fe’ le schegge passar per la visiera:
     Ond’ei cadde trafitto il destro ciglio,
     208Dell’occhio e della vita a gran periglio.

XXVI.


Il Potta rivoltato a Zaccaria
     Che gli sedea vicin, disse: Messere,
     Quest’è certo un incanto e una malía:
     212Ognun quel cavalier farà cadere.
     Rispose il vecchio allor: Per vita mia
     Ch’a me l’istesso par; nè so vedere
     Che possan guadagnar questi briganti
     216A cozzar col Demonio e cogl’incanti: