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OTTAVO | 145 |
LXIII.
Volea l’orbo seguir, come dolente
Tornò la Diva alla sua bella sfera;
Se non che lo mirò di sdegno ardente
508Renoppia, e in voce minacciosa e altera:
Accecato degli occhi e della mente,
Brutta effigie gli disse, anima nera,
Va’ canta alle puttane infami e sciocche
512Queste tue vergognose filastrocche.
LXIV.
E se vuoi ch’io t’ascolti e che il tuo canto
Ritrovi adito più per queste porte,
Cantami di Zenobia il pregio e ’l vanto,
516O di Lucrezia l’onorata morte.
Il cieco allor stette sospeso alquanto;
Poscia in tuono di guerra assai più forte,
L’amor di Sesto e gli empi spirti ardenti
520Incominciò a cantar con questi accenti:
LXV.
Il re superbo de’ romani eroi
Alla regia di Turno il campo avea;
E con fanti e cavalli e servi e buoi
524Di trinciere e di fosse ei la cingea.
Eran con lui tutti i figliuoli suoi;
E quivi si mangiava e si bevea
Con gusto tal, che ’l dì di san Martino
528Bebbero in sette un caratel di vino.
LXVI.
Finito il vin, nacque fra lor contesa,
Chi avesse moglie più pudica allato:
E perch’ognun volea per la difesa
532Combatter della sua, nello steccato;
Per diffinir la strana lite accesa,
Di consenso comun fu terminato
Di montar sulle poste allora allora,
536E andarsene a chiarir senza dimora.