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CANTO SETTIMO | 111 |
III.
I magnanimi cor, di sdegno ardenti,
Metton le lance a mezzo ’l corso in resta,
E vannosi a ferir come due venti,
28O due folgori in mar quand’è tempesta.
Lampi e fiamme gittar gli elmi lucenti;
Mugghiò tremando il campo e la foresta
A quel superbo incontro; e l’aste secche
32Volaro infrante in mille schegge e stecche.
IV.
Si fece il segno della santa croce
L’un campo e l’altro, e si fermò guardando,
Per maraviglia immoto e senza voce,
36Del periglio comun scordato, quando
L’uno e l’altro guerrier torse veloce,
Dispettoso, la briglia; e tratto il brando,
Fulminarsi agli scudi ambi e alla testa
40Dritti e rovesci a furia di tempesta.
V.
Non stettero a parlar de’ casi loro,
Come soleano far le genti antiche,
Nè se ’l lor padre fu spagnuolo o moro;
44Ma fecero trattar le man nemiche.
Le ricche sopravvesti, e i fregi d’oro,
I cimieri, gli scudi e le loriche
Volan squarciati e triti in pezzi e ’n polve:
48Il vento gli disperge e gli dissolve.
VI.
Tra mille colpi il Conte di Miceno
Colse in fronte il Signor di Francolino,
Che gli fece veder l’arco baleno,
52La luna, il ciel stellato e ’l cristallino.
D’ira, di sdegno e di superbia pieno,
Sollevò Salinguerra il capo chino;
E alla vendetta già movea repente,
56Quando rivolse gli occhi alla sua gente.