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SESTO 107


LXIII.


Nè già ritorna ove fuggir vedea
     Quei ch’ingannò la fiorentina preda,
     Che vittoria stimò vile e plebea
     508Cacciar gente che fugga, e ’l campo ceda.
     Ma, dove in mezzo la battaglia ardea,
     Contra ’l Potta sen va; come sel creda
     Bere in un sorso, e la città sua tutta
     512Ne’ sterquilinii suoi lasciar distrutta.

LXIV.


Guido scontrò, che della pugna usciva
     Con mezza spada, e una ferita in testa,
     E a medicarsi al padiglion sen giva
     516Per man del suo barbier mastro Tempesta.
     Indi trovò, che ’l suo signor seguiva,
     Messa in terror, la ravignana gesta.
     Le’ si fe’ incontro, e con superbo grido:
     520Tornate, disse, indietro, o ch’io v’uccido.

LXV.


Ed all’alfier che ’l rimirava fiso,
     Senza altro moto far, come chi sdegna,
     Fulminò d’un mandritto a mezzo ’l viso:
     524Così, dicendo, d’ubbidir s’insegna.
     Riman colui del fiero colpo ucciso;
     Ed egli di sua man spiega l’insegna.
     Alzano i Ravignani allor le grida,
     528E ’l seguono animosi, ove gli guida.

LXVI.


Il Potta, che tornar vede la schiera
     Che dianzi fuor della battaglia usciva,
     Rivolto a Tommasin ch’allato gli era:
     532Per vita, gli dicea, della tua diva,
     Ad incontrar va’ tu quella bandiera
     Che sen riede alla pugna onde fuggiva;
     E mostra il tuo valor, spiega i tuoi vanti
     536Contra quei malandrin scorticasanti.