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SESTO 97


XXIII.


La fera bestia un dopo l’altro uccise
     Quattro Tedeschi, ed era dietro al quinto:
     Ma il re la lancia in mezzo ’l cor gli mise,
     188E gliel fece cader già mezzo estinto.
     Ruppesi l’asta, e ’l re non si conquise;
     Ma tratta fuor la spada ond’era cinto,
     Divise d’un fendente il capo armato
     192A Giandon che già in piedi era levato.

XXIV.


Bigon di Geremia, che di lontano
     Alla strage de’ suoi gli occhi rivolse,
     Per fianco addosso al re spronò, ma invano,
     196Che ’l Conte di Nebrona il colpo tolse.
     Il Conte cadde, a quell’incontro, al piano.
     Ma subito fu in piedi, e si raccolse;
     Che vide il suo signor mover d’un salto
     200Contra Bigone, e alzar la spada in alto.

XXV.


Bigone attende il re, nell’armi stretto:
     Ma non gli giova alzar nè oppor lo scudo:
     Che ’l brando il fende, e fa balzar l’elmetto
     204Sciolto da’ lacci, impetuoso e crudo.
     Raddoppia il colpo il valoroso, e netto
     Gli tronca dalle spalle il capo ignudo.
     Esce lo spirto; e in caldo fiato unito
     208Raggirandosi vola ov’è rapito.

XXVI.


Morto Bigone, il re tutta fracassa
     La schiera sua, nè qui l’impeto arresta:
     Urta per fianco, impetuoso, e passa
     212Tra la gente pedestre, e la calpesta.
     Ovunque il corso drizza, uomini lassa
     Uccisi a monti la crudel tempesta
     Del barbaro furor che ’l re seconda,
     216E di fiumi di sangue i campi inonda.