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la scotennatrice | 93 |
Di questi colossi non pochi crescono sulle balze dei Laramie, ma è sempre la Sierra Nevada che conta i più famosi.
Celebri sono il Grizzly Giont, il Generale Shermont, il vecchio Matusalem ed il Columbia.
Tutti superano i centoventi metri d’altezza, hanno una circonferenza che varia fra i trent’otto ed i quaranta metri, ed i loro rami sono così enormi che il primo del Grizzly, che esce dal tronco a quaranta metri dal suolo, misura la bagattella di metri sei e sessanta centimetri!...
Gli americani hanno scavato alla loro base parecchi di quei colossi, aprendo delle vere sale, dove talvolta si danno non solo dei banchetti, bensì anche delle feste da ballo, alle quali possono prendere comodamente parte una ventina di coppie.
Altri invece sono stati attraversati da parte a parte con un tunnel sotto il quale passano perfino le corriere coi rispettivi cavalli.
Altri ancora sono stati segati per formare delle tavole monumentali tutte d’un pezzo.
Il miliardario Astor per esempio ne possiede una capace di servire per cento coperti!...
Anche gl’indiani non hanno lasciato in pace quei colossi, i quali d’altronde non mostrano di soffrire affatto per quelle profonde ferite, e vi si scavano sovente degli asili sicurissimi, dissimulati con grande arte, perchè l’entrata è sempre formata da un enorme pezzo di corteccia che combacia perfettamente.
Come abbiamo detto, i quattro avventurieri, assai impressionati per l’avvicinarsi della Scotennatrice e dei suoi guerrieri, si erano dati ad una pazza corsa attraverso la gigantesca foresta, salendo sempre più la montagna colla speranza di trovare un creek da rimontare contro corrente od un cañon per nascondervisi dentro.
Le loro capigliature erano in giuoco, precedute dal terribile palo della tortura.
Minnehaha non avrebbe certamente risparmiato nessun martirio all’indian-agent, che nella sanguinosa giornata di Sand-Creek le aveva scotennata la madre, la superba Yalla, nè i due scorridori di prateria che ella accusava di essere complici del colonnello Devandel nella fucilazione dell’Uccello della Notte.
Gli alberi si succedevano agli alberi, sempre più maestosi, sempre più giganteschi, avvolti talora da un manto meraviglioso di liane, le quali cadevano da tutte le parti, contorcendosi come miriadi d’immani serpenti, ogni volta che dalle alte gole della montagna scendeva qualche improvvisa raffica.
Quella corsa, poichè si trattava di una vera corsa e non già d’una marcia, su pei fianchi scabrosi della grande catena, durava da una buona ora, sempre più affannosa, quando i quattro avventurieri si trovarono improvvisamente dinanzi ad un cañon nel cui fondo rumoreggiava, balzando e rimbalzando fra le rocce, un creek.