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IV.
Un quarto d’ora dopo i quattro cavalieri si trovavano ancora a contatto colle prime colonne dei giganteschi ruminanti.
Una viva agitazione regnava fra l’orda sterminata, la quale doveva ormai aver fiutato l’odore del fumo volteggiante ai confini della prateria. Tutti, maschi, femmine e vitelli, affrettavano la marcia, muggendo sordamente ed agitando nervosamente le code adorne all’estremità d’un grosso fiocco di peli lanosi.
Il concerto era spaventevole, assordante; ed il terreno della prateria tremava sotto quelle centinaia e centinaia di gambe massicce, come se cento locomotive fossero state scagliate attraverso all’infinita pianura.
I cavalieri avevano appena raggiunta l’avanguardia, dove speravano d’incontrarsi ancora col lord, quando un grido di sorpresa sfuggì a John.
— È lui, ma senza il padrone. Che cosa è avvenuto dunque di quel pazzo da catena?
— Di chi parlate, John? — chiese Turner, il quale aveva rallentata la corsa.
— Dell’inglese.
— Ha finita la sua caccia?
— Non lo vedo più.
— Tanto meglio per noi. Quegli eccentrici stanno meglio in Europa che in America.
— Non vedete il suo cavallo galoppare fra le file dei bisonti? Là, seguite la direzione del mio braccio.
— Vedo, ma è solo.
— Ve l’avevo detto. L’inglese non è più in sella.
— Si sarà fatto sbudellare da qualche vecchio maschio.
— E guarire per sempre dal suo spleen — aggiunse Harry. — Ciò doveva accadere. Bah!... Un pazzo di meno.
— Tutto quello che vuoi, Harry — rispose l’indian-agent — tuttavia vorrei sapere se è caduto sotto un colpo di corno o se è stato sorpreso dagli Sioux.