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avrebbe desiderato meglio, anche a costo d’impegnare la lotta, dormire qualche ora.

— Staremo meglio sotto gli alberi che qui — rispose Sandy Hook.

— Trovare colà bisonti? — chiese lord Wylmore.

— Ma sì, e grossi come elefanti — disse John, alzando le spalle.

— Aho!... Allora io venire.

I sei uomini balzarono in sella, batterono per qualche centinaio di metri la fronte delle altissime erbe, poi partirono verso ponente, affidandosi alle loro cavalcature, poichè in quell’oscurità non avrebbero potuto nemmeno evitare un cañon largo mille tese. Il vento tirava sempre forte, empiendo la montagna di mille strani muggiti ed accumulando sulle vette e perfino dentro le larghe e profonde vallate immense masse di vapori gravidi di pioggia.

Sandy Hook si era rimesso alla testa del drappello e cercava alla meglio di orizzontarsi, senza però speranza di riuscirvi.

John invece era passato in coda.

Quella corsa, a piccolo galoppo, durava da una quindicina di minuti, quando un lampo, il primo, rischiarò la montagna che stavano attraversando. Sandy Hook aveva trattenuto prontamente il cavallo, mandando un grido.

— Fermi!... Siamo sull’orlo di un cañon!...

Nell’istesso momento John gridava:

— Fuori i rifles!... Siamo inseguiti!...


XXI.


La caccia ai visi pallidi.


L’audace impresa che Sandy Hook ed i suoi compagni avevano assunta, minacciava di terminare tragicamente fino dal principio.

L’oscurità della notte rendeva impossibile una pronta fuga, specialmente su quelle montagne interrotte di quando in quando da canaloni tagliati sovente a picco e sempre solcati da impetuosissimi torrenti.

Vi era, ogni cinquecento o seicento metri, il pericolo di fracassarsi in fondo a quei baratri irti di rocce.

La presenza poi degl’indiani, segnalata da John, rendeva la situazione ancora più terribile.

Erano pochi o erano molti? Con quella notte tempestosa non era possibile accertarsene.