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180 | emilio salgari |
forse dentro qualche nuovo squarcio del terreno per formarsi una nuova città sotterranea.
Per maggior precauzione i quattro amici attesero qualche tempo ancora, temendo l’arrivo di qualche retroguardia, poi riaccesa la lampada discesero, ansiosi anche loro di cambiare aria e domicilio.
Ne avevano perfino di troppo di quella miniera, e poi la fame cominciava a tenagliare atrocemente i loro stomachi, non avendo più preso nulla dopo l’ultimo pasto offerto loro da Mocassino Rosso.
Persuasi ormai di non correre più alcun pericolo, ripresero la faticosa marcia fra ammassi di carbone, contro i quali incespicavano ad ogni passo, e fra rottami di impalcature che la furia del grisou aveva strappate dalle vòlte.
Le strida dei topi erano completamente cessate, ed un profondo silenzio regnava nella tenebrosa galleria, rotto solo dallo stropiccìo dei piedi dei quattro avventurieri, stropiccìo molto discreto poichè la paura di attirare l’attenzione di quei terribili roditori li faceva camminare quasi sollevati.
Ogni venti o trenta passi però si arrestavano per tendere gli orecchi. Temevano sempre un ritorno offensivo dei piccoli mostri.
Marciavano da una buona ora entro quell’interminabile galleria, quando Harry, che guidava il drappello, mandò un grido di disperazione.
— La galleria è franata!... Siamo perduti!...
John, Turner e Giorgio si erano precipitati innanzi, in preda ad una vivissima angoscia.
Dinanzi a loro, un enorme cumulo di rottami, caduto dalle vòlte, si era ammonticchiato, non lasciando che un solo pertugio, appena sufficiente a lasciar passare un gatto, ed attraverso il quale filtrava splendido un raggio di luce.
Erano giunti alla bocca della galleria, all’uscita della miniera, ma il perverso destino aveva proprio in quel punto eretto un tale ostacolo che solamente dei minatori e ben muniti di picconi e di pale, avrebbero potuto atterrare e con un lavoro penosissimo e lunghissimo.
— Ecco la fine — disse Turner, rompendo il gran silenzio che regnava nella galleria. — Qui morrà il campione degli uccisori d’uomini.
«Mi dispiace solo di non avere un buon rifle per puntarmelo sotto il mento e farmi saltare le cervella. Almeno abbrevierei le mie sofferenze.
«Che cosa dite voi, camerati?
Nessuno rispose. Si erano lasciati cadere al suolo, col capo stretto fra le mani, oppressi da una cupa disperazione.
Turner si tolse da una tasca la pipa, la caricò cogli ultimi rimasugli di tabacco che ancora possedeva, aprì la lampada e l’accese, borbottando: