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166 | emilio salgari |
Atterrò le ultime adobes che gl’impedivano il passaggio e si cacciò attraverso il foro, saltando dall’altra parte.
— Fa molto caldo? — chiese John.
— Un po’, sì, tuttavia l’aria è abbastanza respirabile.
— Ci vedi?
— Non sono una talpa, però credo di potervi guidare. Seguitemi.
John, Turner e Giorgio, felici di potersi sottrarre all’orrenda puzza che regnava nella prigione, attraversarono a loro volta quella specie di bastione e si calarono in una tenebrosa galleria che nessuno poteva sapere dove andasse a finire.
Un’atmosfera caldissima regnava là dentro, segno evidente che in qualche parte della miniera il fuoco continuava a covare, malgrado le chiuse costruite dai minatori.
— Non è aria pura — disse l’indian-agent, respirando a pieni polmoni — pure la preferisco centomila volte all’altra.
«Vi era del veleno là dentro.
— Che avrebbe finito per attossicarci — rispose Turner. — Ancora poche ore e nessuno di noi avrebbe potuto resistere a quell’atroce supplizio, che solo l’infernale fantasia d’una donna indiana poteva inventare.
«Saranno però terminate le nostre pene?
— È quello che si vedrà più tardi, mister — disse Harry — perchè mi viene un dubbio.
— Quale?
— Che possiamo incontrare delle altre barriere.
— Credo che v’inganniate, Harry.
— Perchè?
— Se tutte le aperture fossero state bene tappate l’aria non sarebbe così respirabile.
— Le miniere hanno mille fessure, invisibili anche agli occhi dei più vecchi ed esperti minatori.
— Può darsi. Intanto io constato un fatto.
— Dite.
— Che non vedo dove vado.
— Attaccatevi alla mia casacca e seguitemi sempre.
— Avreste gli occhi dei gatti, voi?
— Alla meglio ci vedo. Aspettate e vedrete che anche i vostri si abitueranno a questa densa oscurità.
— Uhm!... Ho i miei dubbi.
— Si va? — chiese John.
— Andiamo — rispose Harry. — Tenetevi tutti attaccati, perchè chi si smarrisse potrebbe passare un brutto quarto d’ora.
Si appoggiò alla parete di destra, posandovi sopra una mano e si mise risolutamente in marcia, seguito da Turner che si era aggrappato