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XIV.
Nelle mani di Minnehaha.
Un salto di soli cinque metri, per uomini rotti a tutti gli esercizi ginnastici, non doveva avere conseguenze di sorta, tanto più che il terreno che circondava il colosso era diventato elastico, in causa dei numerosi strati di pinon accumulatisi da secoli e secoli.
I quattro avventurieri, attraversata di volo la nuvolaglia pestifera, quantunque un po’ storditi ed un po’ asfissiati, si trovarono tutti insieme dinanzi all’entrata della tana del grizzly, tramutata in una vera fornace.
Erano stati veduti dagl’indiani saltare a terra? Non se lo chiesero nemmeno.
Respirata una grande boccata d’aria pura, si erano scagliati attraverso la foresta correndo come lepri.
Un urlìo feroce li avvertì subito che le pelli-rosse non dormivano, anzi che facevano buona guardia dietro i tronchi dei big-trees.
— Siamo stati scoperti!... — gridò John, fermandosi ed imbracciando il rifle. — La fuga è impossibile.
«Camerati, prepariamoci a morire da gente valorosa!...
Gl’indiani si erano slanciati sui loro cavalli ed accorrevano da tutte le parti, mandando il loro grido di guerra e facendo roteare i loro lazos.
Volevano prenderli vivi, mentre una sola scarica dei loro winchester sarebbe stata più che sufficiente ad abbattere i quattro valorosi.
— Diamo battaglia? — chiese Turner.
— Se non la desiderate voi, la darò io solo — rispose risolutamente l’indian-agent. — Minnehaha non mi scotennerà vivo!...
Si appoggiò al tronco d’un pino e sparò il suo primo colpo, poi gettò il rifle ed impugnò l’archibugio.
Un cavaliere, che giungeva a briglia sciolta, facendo fischiare il lazo, aveva vuotato l’arcione portandosi le mani alla testa.
— All’attacco, Giorgio!... — gridò Harry. — Ormai è finita! Qui morranno gli ultimi scorridori della prateria!...
— Pronto, fratello — rispose Giorgio, appoggiandosi pur lui contro il pino.
— Ed io vi tengo compagnia — soggiunse Turner. — Un po’ prima, un po’ dopo si deve ben morire.
Si erano messi a sparare, mandando a gambe levate ora dei cavalli ed ora dei cavalieri.