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126 | emilio salgari |
XIII.
Cucinati vivi.
Malgrado le loro apprensioni, i quattro avventurieri fecero abbastanza onore al magrissimo pasto, ridotto poi solamente a pinon crudi e a un po’ d’acqua, non essendo le gallette assolutamente mangiabili, dopo chissà quanti anni che si trovavano chiuse dentro quella vecchia cassa.
Avevano appena accese le pipe, essendo rimasto loro ancora un po’ di tabacco, quando Harry che non aveva lasciato, pur mangiando, la feritoia che guardava sopra l’entrata della tana, vide un indiano avanzarsi, tenendo infilzato sulla canna del suo rifle uno straccio che quantunque non lo fosse affatto, voleva essere bianco.
— Un parlamentario!... — esclamò: — Che venga ad intimarci la resa?
John, Turner e Giorgio erano balzati in piedi riafferrando i loro fucili, non fidandosi affatto.
— Il brigante della prateria!... — esclamò John.
— Chi è? — chiese Turner.
— Sandy Hook, o se vi piace meglio, Mocassino Sanguinoso.
— Ah!... il vostro amico!...
— Mio amico!... Che cosa dite, Turner?
— Forse che non avete bevuto insieme?
— Per obbedire alle leggi della prateria e non crearmi un nemico di più — rispose John, un po’ indispettito. — Che cosa viene a proporci quel gaglioffo?
— Verrà a chiedervi graziosamente la vostra capigliatura a nome della sakem.
— Si provi!...
— Vedremo.
Sandy Hook, protetto dalla sucida bandiera parlamentare, s’avanzava tranquillamente, fumando un corto calumet e facendo dondolare i suoi ornamenti di penne di tacchino selvatico che gli scendevano lungo il dorso.
Giunto a dieci passi dal big-tree, vuotò la pipa, mise a terra il rifle e gridò: — Gentlemen!... Si può scambiare due parole con voi, da buoni amici?