1295I garzoni, o la Vergine pietade!
Dell’enigma, ch’io canto, un sì fiero uso
In Pekino trovò, quando vi giunse, Marco Polo, e pentito Gingiscano
Che soverchio indulgesse al pertinace 1300Della figlia dolor. Giovane e ardito
Il Veneto era e generoso, e molto
Stavagli a cor quel barbaro costume,
Da prima divenuto incauta legge,
Abolendo, perenne ed onorata 1305Lasciar di sè memoria a sì gran Corte.
I vezzi d’altra parte e la beltade
Potean di Marco sovra il cor gentile,
Ma non sì che alle grandi congiunture,
Che il magnanimo tentano, incapace 1310A resistere ei fosse, e d’assennata
Costanza a inusbergarsi e di rigore.
Dunque fra sè dicea: Della Donzella
Io l’arti affronterò; s’io vinco, annullo
La legge detestata, e, ov’io soccomba, 1315Sol dell’averlo cerco immensa lode
Procaccio al nome mio; chè non per brama
Combatto d’ottener la Principessa,
Ma tanto di sparmiar garzonil sangue.
Grande il Gingiscan, che un grande affetto 1320Già per Marco nutria, fu la tristezza,
Quando non avvertito nel Divano
Sel vide comparir contro la figlia,
Presentando al Consesso un chiuso foglio,
Da leggersi, dicea, dopo il cimento. 1325Fra la seduzion di nere gale
Agiarne entra intanto; e Marco in piedi
Nell’alta idea d’un benefizio illustre,
Che impartir spera, assorto, ode e non vede.
Il mio primo son ceruli canali, 1330E vi scorre per entro un’onda rossa,
L’Ingegnosa sclamava, che addestrata