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Il piacer del Monarca e della Corte,
A me pur di Pekino uscir concedi.
1260Sul vôto avello di Tabur tradito,
Che fra le patrie tombe io gli sacrai,
(Quando il corpo sen giace in Samarcanda)
Alcun riposo avrò. S’accora il padre,
Nè però le si oppon: la Dolorosa,
1265Fra le tombe a venir, di Pekino esce;
Chè i cimiteri fuor delle cittadi
Tanto pria dell’Europa ebbe la China;
Come Pekin, pria di Venezia tanto,
Ebbe un’eccelsa torre, e sulla cima
1270Notturna vigilante sentinella,
Che velettava intorno, e, dove o foco
Scoppiasse d’improvviso, o movesse oste,
Con due legni battendo un gran tamburo,
Dotta del rischio suo fea la cittade.
1275Or pensa se altro talamo Agiarne
Salir potrà: ben ne la prega il padre,
Ma vanamente; e, se talvolta impera,
L’altra l’ordin declina; e, poichè vuoi,
Sposa, dice, verrò, ma di garzone,
1280Che i viluppi enigmatici, ch’io tesso,
Sia tanto a sciorre, ed, altrimenti, perda
Sul patibolo il capo, e dell’oltraggio,
Che a lui recava contrastargli osando
La fida sposa, il mio Tabur consoli.
1285Nè sol gli enigmi tessere l’Accorta,
Ma proporli vuol ella ai folli amanti
In tutto lo splendor di real pompa,
Che bellezza le cresce e maestade,
E nel Divano, perchè il luogo anch’esso,
1290Oltre lo sfolgorar di sì cari occhi,
Li smarrisca e confonda, e vincitrice
N’esca ella sempre. Quanti capi e quali
Di Pekin sulle porte all’aste infitti,
Senza che mai per questo imparin senno