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Risuscitar la non umíl sciarada,
Proficua la dirò, la dirò dotta;
Nuove notizie intruder se pretende,
Dirò che pedanteggia e che delira.
        420Difetta ancor chi troppo raro il velo
A lei travagli; chè meschina palma
Quegli poi miete che il penetra, e molto,
Se il preceda un sudor, cresce il diletto.
Avvallasi il primiero; sul Giordano
425Fu il secondo prolifico e non bello;
Fu sul Tebro l’inter bello e non crudo.
D’ognun sul labbro è Giulia tosto, e intanto
L’altera Giulia, che al Roman teatro,
Tutti gli occhi onde trar, comparia tarda,
430Or sollecita vien, qual peritosa
Matrona che, straniera ai bei misteri
D’entrar con garbo in elegante sala,
Cápita delle prime, e il più vicino
Sedìle ingombra della sua persona.
        435Poni anco mente, che slogata ai nodi
La tua parola sia, non iscavezza
Nell’ossa; chè ciò il numero de’ buoni
Disgiungimenti limita, e ti sforza
Di scegliere, nè dritto è lasciar tutte
440Le malagevolezze a chi indovina.
Però colui che, canape intendendo,
Dicesse il primo è fido, industrioso
Il secondo, si semina l’intero,
Violerebbe tanta legge, e fora
445Osservarla, lasciati il cane e l’ape,
far che a questa sottentri di Corinna,
Men nota forse, la prudente ancella,
Nape, che torre all’emola Cipassi
Potea, giudice Ovidio, il caro vanto
450Di spartir meglio alla padrona i crini:
Far che al cane sottentri la dimora
Dell’uomo sincopata, e qual si noma