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Rendermi, e che tu voglia io non diffido.
Molti, come ben vedi, e troppi, io conto
240Seguaci; tanta turba a me non quadra,
Perchè, soverchio agevole e diffusa,
L’arte invilisce, ed arduo è il bello e raro.
Dunque si difficulti, adatte leggi
Facciano d’infrenarla, e due guadagni
245Se ne trarrà, perfezione all’arte,
E nell’inetto artista o indiligente
Della difficultosa arte abbandono.
Queste leggi tu detta, e come bello
Non è nè usato, che raccolga e chiuda
250La natia prosa peregrini arcani,
Così le leggi degli arcani miei
Sien da metro raccolte: al naturale
Racine apprese della Francia il Flacco
Più difficili carmi; e da te s’abbia,
255Prudente amico, più severe norme
Chiunque alle mie soglie i passi affretta.
Ohimè, che dici? in questo secol norme?
Io dettarle? non sai, Donna, risposi,
Che la grave Epopea, la insanguinata
260Tragedia scosse a questi tempi il giogo?
Di riso obietto ci faremo entrambi;
L’acqua alla china correr lascia. Credi,
Ella mi soggiugnea, che in uno stato
Perduri il mondo? le trascorse etadi
265Gioghi non vider, qual la nostra, scossi,
Che poscia ritornaro? al mio comando
Non ostar; lunga sperienza hai fatto
Presso di me; de’ scaltrimenti tuoi
Gli altri scaltrisci; al secol prisco e al novo,
270Da Macro, che cantava erbe e veneni,
Al buon Lorenzi, che de’ monti aprici
La cultura cantava, ognor fu culla
Verona tua di tal, cui le incresciose
Regole piacque rallegrar col verso.